Casta diva: Diana
Diana, o Artemide in greco, è la dea della caccia e della castità. Come ad Apollo è associato il sole, a lei, sua sorella gemella è associata la luna.
La dea viene descritta schiva e quasi sempre in solitudine e la sua rappresentazione visiva è sempre con un abito da cacciatrice, lungo o spesso corto, con faretra e arco. Il capo quasi sempre ornato dal quarto di luna e , a volte, accompagnata da un levriero o da un cervo.
Nell’arte preellenica Diana, idolatrata in Asia Minore, viene rappresentata con il busto coperto di protuberanze rotondeggianti, interpretate sia come seni che come testicoli di toro. La statua è ricoperta da figure di animali quali il toro, il leone, l’aquila, il grifone e la capra.
Dunque anche alle origini, desumendo dalla simbologia, la dea era protettrice dei boschi e degli animali che vi abitavano, custode delle fonti e dei torrenti e anche dedita alla protezione delle donne e nel parto.
Diana , in questa statua, viene rappresentata mentre sta cacciando, il fisico e il volto quasi androgino mentre afferra le corna di un piccolo cervo. Lo sguardo concentrato verso una preda mentre sta per estrarre una freccia dalla faretra.
Una interpretazione diversa di Diana e alcuni hanno visto nel volto della dea l’amante di Enrico II, re di Francia, che si chiamava appunto Diana de Poitier.
Tutti gli attributi di Diana vengono narrati con molta cura: il cane simbolo della caccia, l’arco, la faretra e le frecce e, l’immancabile mezzaluna che si trova sul turbante arancio chiaro.
Gli affreschi di Correggio, commissionati dalla Badessa, nobildonna Giovanna Piacenza, hanno come tema principale il mito di Diana. L’artista riesce a donare alla stanza un effetto prospettico tale da anticipare il barocco.
La volta e di ispirazione tardogotica a ombrello e rappresenta un pergolato con intrecci vegetali suddiviso in sedici spicchi e articolati a quattro per ogni parete.
Al centro del pergolato si illumina lo stemma della nobildonna, tre lune crescenti. Attorno a questo stemma si annodano geometricamente nastri che poi scendono nel pergolato.
Nel pergolato si aprono degli ovali da cui escono vivaci amorini che giocano con gli attributi di Diana: arco, frecce, faretra, cani, trofei di caccia.
Ogni ovale si staglia con lo sfondo di un cielo azzurro e l’artista fa in modo di creare una continuità fra gli amorini e i loro gioiosi giochi infantili. In questo, ad esempio, un putto volge le spalle come a voler proseguire nell’ovale successivo.
Alla base del pergolato sono raffigurate, entro delle lunette concave, figure allegoriche ancora tratte dalla mitologia classica Sono dipinte in monocromia, per imitare il rilievo di una scultura a tutto tondo. In questa sono rappresentate le tre grazie che, come in Botticelli, possono simboleggiare le virtù della letizia, la prosperità e lo splendore -in questo caso dell’anima-.
Il dipinto sulla cappa del camino a tinte tenui e luminose, rappresenta la dea vestita da tunica bianca, mentre conduce fra le nuvole il proprio carro.
E’ la figura centrale di tutta la decorazione e volge lo sguardo verso lo spettatore mentre con una mano sembra togliere un drappo e mostrare l’affresco intero o, al contrario, coprirlo e nasconderlo. La simbologia è proprio in questa particolare gestualità: Diana, dea della castità è Giovanna la Badessa mentre vigila e difende le suore a lei affidate.
Il mito nella tradizione rinascimentale ha un obiettivo squisitamente morale e proprio in virtù alla autorevolezza dell’antichità.
Nel dipinto, Tiziano prende direttamente dal testo di Ovidio gli elementi della narrazione. Cambiando l’esatto momento narrativo, Atteone vede Diana dopo, e non prima, il bagno rituale. La sorpresa la casualità dell’evento sono rappresentati dalla gestualità del giovane, proprio come descrive Ovidio.
Il cane che abbaia ad Atteone e allerta Diana.
Diana che viene coperta da una ninfa dalla pelle scura. Allegoricamente viene rappresentata la duplicità della luna a Diana collegata: il lato oscuro che non viene mai scoperto.
La morte di Atteone -come punizione per aver visto la nudità della dea-è sottolineata dalla testa di cervo posta sopra una sorta di cippo funerario.
Atteone muore sbranato dai propri cani, trasformato da Diana in un cervo.
L’opera del Parmigianino è chiaramente ispirata a quella del Correggio. Tuttavia il simbolismo è differente e pare sia legato al dolore di Paola Gonzaga per la morte del figlio. Allora il mito può essere letto nel sacrificio del cervo -antico simbolo del Cristo- e nel riscatto della morte che è solo terrena mentre l’anima rimane immortale.
Rubens rappresenta il momento in cui Diana scopre che l’ancella Callisto è incinta. Ma Callisto era stata violata da Giove che per farla fuggire dall’ira della dea la trasforma in un’orsa. Quando Diana, durante una battuta di caccia, incontrò Callisto trasformata stava per ucciderla ma Giove intervenne ancora e la mutò in una costellazione: l’Orsa Maggiore.
Rubens sicuramente si è ispirato al precedente dipinto di Tiziano anche se ha voluto mascherare l’impeto con cui le ancelle spogliano Callisto per la sua ritrosia. Tiziano, invece, è molto attento alla dimensione psicologica dei personaggi come l’imperiosità di Diana, lo sconforto di Callisto, l’indifferenza delle ninfe.