Le Parche
Il tema del dipinto è quello della vita e della morte. Il nostro tempo è assegnato e nelle mani di divinità: non possiamo conoscere il nostro destino. L’opera, di impronta rinascimentale, è chiaramente attribuita al movimento dei preraffaelliti.
Il dipinto è diviso in tre parti. Nella parte superiore un carro dorato è la concretizzazione dei sogni degli amanti e allude all’allegoria del trionfo.
Al centro due giovani stanno parlando: la ragazza seduta su una panca mentre l’uomo è alla finestra. L’angelo, sulla destra, diventa una metafora delle parole d’amore e, quindi,musicali che si scambiano.
Nella parte inferiore tre donne stanno tessendo il destino dei mortali: Cloto tiene il fuso, Lachesi districa il filo, mentre Atropo sta aspettando di reciderlo.
La Parca Lachesi è colei che può estendere a suo piacere la vita umana e una sua singola rappresentazione senza le sorelle può essere considerata apotropaica, quindi bene augurante.
Bellotti si attiene all’iconografia tradizionale delle Parche: anziane -come il mondo- con il capo coperto a volte da vistosi turbanti -simbolo di conoscenza- àvestite con drappeggi ma la interpreta personalmente. Infatti, il volto che esprime quasi un sorriso smorzato dalle rughe profonde, ne definisce il carattere più benigno rispetto alle altre sorelle. E’ lei che può tendere il filo in modo da allungarlo per portare una lunga vita.
Nel dipinto di Salviati il trio monocromo incute inquietudine: Lachesi è quasi ostaggio di Atropo che vuole tagliare il filo molto più corto di quanto lo abbia svolto. Cloto ha un’espressione di paura o di dolore e cerca di confondersi nello sfondo cupo.
Francesco de Rossi, detto Salviati in omaggio al Cardinale Salviati ,primo committente, è l’artista che interpreta il manierismo con eleganza mischiando l’anatomia delle figure di Michelangelo con una luce innaturale che esalta l’idea al di là del contesto della narrazione pittorica.
Bernardo Strozzi è l’esponente più in vista della scuola genovese seicentesca. Abbandonato il convento come frate cappuccino per aiutare finanziariamente madre e sorella, intraprende il mestiere di pittore pur mantenendo i voti. Adotta un certo chiaroscuro di Caravaggio ma cerca di esaltare un naturalismo cromatico più vicino a Rubens.
Strozzi interpreta le Parche non solo con tre diverse precise intenzioni ma con tre aspetti psicologici. Cloto fila pazientemente chinando la testa canuta sul suo lavoro. Lachesi, vestita con eleganza, più giovane è molto attenta a srotolare davanti a sè il filo. L’inflessibile Atropo taglia con una cattiva smorfia, coperta da un logoro cappello di paglia.
Morbelli fu l’artista che interpretò i drammi umani e sociali dell’Italia di fine Ottocento e inizio Novecento. Famose, infatti, le opere della solitudine degli anziani al Pio Albergo Trivulzio senza pietismi ma con riflessioni sul cambiamento sociale, culturale ed economico. Con la tecnica del divisionismo riusciva ad imprimere alle sue tele una luce ambrata, crepuscolare.
Le sue Parche sono tre anziane che possono benissimo ritrovarsi nel ricovero intente alle loro mansioni di filare, tessere il destino e tagliare.
Le Parche di Goya è un affresco rimontato su tela e fa parte delle “pitture nere” della sua casa conosciuta anche come Quinta del Sordo.
Goya sostituisce Il fuso di Cloto con un neonato -quasi a rimarcare la qualità della dea- , Lachesi guarda attraverso una lente o uno specchio rotondo -come a simboleggiare “il cerchio della vita”- e l’inesorabile Atropo con le forbici aperte. Fra le figure femminili fluttuanti vi è anche un uomo, forse lo stesso Goya, con le mani legate alla schiena come a sottolineare l’impossibilità di cambiare il destino.
Come a dimostrare la tesi di Goya ovvero che nulla possiamo fare contro il destino, la bellissima tela narra la vicenda di Orfeo ed Euridice.
Infatti, nonostante Orfeo sia riuscito ad incantare con il suono della cetra -che qui l’artista ha cambiato con un violino- gli dei degli inferi e, quindi, a riportare Euridice nel mondo, la perderà ugualmente a causa della sua impazienza.
Le tre Parche a sinistra del dipinto, rappresentate giovani e belle, sono sul loro consueto lavoro e distolgono lo sguardo dai due sposi.
Il particolare dell’opera mostra Demogorgone con le tre Parche.
Demogorgone compare solo nel Quattrocento come figura divina custode del ciclo cosmico e della sua capacità di rinnovamento come l’avvicendarsi delle quattro stagioni, degli anni, il ripetersi … Nel mito romano questa funzione di “custode del tempo” era svolta dal dio Mitra.
Quindi le Parche sono in stretta relazione al ciclo naturale cosmico, ma il dipinto mostra anche un’altra particolarità: il serpente arrotolato che si morde la coda a formare un cerchio.
Antichissimo è il simbolo detto uroburo o uroboro che allude alla continua rigenerazione della vita ed è raffigurato come un serpente che si morde la coda.
In alto, al centro, una fenice sta risorgendo dalle proprie ceneri e può essere interpretata anche in senso cristiano, mentre l’uroburo e la sfera armillare simboleggiano l’universo. Sotto viene rappresentato una sfera rappresentante il mondo umano che viene dominato dalla personificazione mostruosa della morte che tiene le catene delle necessità umane.
Saturno, gigantesco e anziano, sguaiatamente seduto su nuvole sta vomitando. Apollo con il suo carro del sole sottolinea l’immortalità della natura e del cicli cosmici, mentre a destra e a sinistra viene ripreso il mito di Prometeo.
Il fiume infernale è attraversato, su una piccola imbarcazione , da due figure -una femminile e una maschile- antropomorfe con code di serpenti. L’acqua può essere allusiva al flusso vitale ma, anche al fiume Acheronte.