Luoghi di incontro e lo spettacolo nella pittura americana di inizio Novecento
Il gruppo degli “Otto”
Nel 1908 si apre, a New York, una mostra di dipinti di artisti: per la precisioni otto amici pittori, diversi per stile ma tutti con intenti realistici.
Le opere del gruppo, chiamato degli “Otto”, vennero criticate e disprezzate per il crudo realismo dei dipinti. Pertanto, i critici nominarono gli artisti come quelli de “La scuola pattumiera”, “Gli apostoli del Brutto” o “La banda nera”.
Il dipinto mostra l’interno del locale newyorkese frequentato dall’alta società, da artisti ed intellettuali. L’elegante signora in azzurro è la moglie del proprietario, Mrs. Mouquin, accanto a James Moor, un ricco e noto playboy, mentre nello specchio si riflettono — a fatica- la moglie dello stesso pittore, Edith, e il critico d’arte Charles Fitzgerald.
Sicuramente riconosciamo lo stile impressionista e le citazioni a Degas e Manet, mentre ricorda Renoir.
Hammerstein era un locale all’aperto, sopra i tetti newyorchesi che offriva intrattenimento quando il caldo estivo costringeva i teatri al chiuso a chiudere. Inaugurato dall’impresario Oscar Hammerstein, il Palace Roof Garden ha presentato spettacoli che variavano da esotici ballerini spagnoli a giocolieri in bicicletta e funamboli.
Vorrei ricordare che è solo dall’inizio del secolo che luoghi e spettacoli tali divennero accettabili per donne rispettabili e, nella rappresentazione di William Glackens, siedono fianco a fianco con gli uomini. L’arena è illuminata da un groviglio di luci elettriche: un’invenzione recente che ha reso possibile il teatro notturno!
Particolare rappresentazione di uno spettacolo: noi siamo parte degli artisti in scena e non spettatori. Le poche pennellate di luce suggeriscono la protagonista sul palco senza alcuna descrizione. Come Degas, anche Shinn predilige dipingere scene di balletti, teatrali o circensi.
Forse non l’artista non è riuscito a dare quell’aspetto di un dipinto simile di Sargent.
Tuttavia, Shinn riesce a fornire una immagine personale e ironica anche negli spettatori che si stanno allontanando nel buio.
L’opera ci ricorda molto un precedente dipinto di Degas.
Illuminato dal basso il dipinto di Sheen descrive con abilità non tanto l’acrobata quanto gli spettatori, in pare disinteressati all’esibizione. Infatti, sembrano cercare i loro conoscenti giù in platea.
Molto simile alla rappresentazione precedente per tema di danza spagnola, è, tuttavia, interessante per un’altra opera, contemporanea a noi di Hopper.
Un solo soggetto -due artiste uniche sul palco-, due spettacoli diversi che si adattano ai tempi. Particolare appare il soggetto decentrato sulla destra, un angolo del palcoscenico, la luce debole e vellutata degli anni del Novecento che diventa algida -quasi ostile nella sua freddezza-, a metà del “secolo breve”.
Hopper afferma «Non dipingo quello che vedo, ma quello che provo» siano case sfregiate da un binario o assolate solitudini.
La dinamicità è peculiare della pittura di Bellows. Soprattutto nella serie dedicata al pugilato, Bellows traccia pennellate oblique per indicare spostamenti repentini ed energetici dei due pugili.
Bellows racconta spesso incontri di pugilato. Nell’opera i pugili sono disposti in una composizione piramidale che ricorda una scultura classica.
La forza della loro azione è rappresentata dalla massa di muscoli dei pugili che emerge dall’uso della pennellata nervosa, direttamente contraria degli spettatori che sono riportati a macchie ma rappresentano una diversa gamma di tipi sociali.
Una pittura ai limiti dell’onirico è quella di Guy Pene de Bois. La sua opera che si caratterizza per l’interesse alla sua contemporaneità sottolinea tuttavia la perdita di valori sociali e umani accentuando le solitudini dell’uomo moderno. Come Hopper, d’altro canto.
Guy Pène du Bois approfondì nella sua arte i caffè e i ristoranti, i teatri e, proprio in questi luoghi, le relazioni tra uomini e donne.
La sua pittura indaga attentamente,come in una sceneggiatura, la mancanza interpersonale tra le coppie, molte delle quali comprendevano un uomo più anziano e una donna più giovane.
Figure sintetiche e semplificate, sono i soggetti dell’opera. Fedele al suo pensiero, l’artista le costruisce come automi sospesi su un’arena solitaria.
L’opera di Luks fu ideata dall’artista per scioccare i membri dell’Accadamia della Pennsylvania. Chiaramente riuscì nel suo intento.
D’altro canto, altri critici vedono in lui un Manet che descrive la modernità: lo sport-spettacolo tutt’ora in voga soprattutto negli Stati Uniti.
Come du Bois, Luks ironizza sulle coppie: tuttavia non le immerge in una atmosfera metafisica ma audacemente ironica. Sottolinea lo sguardo fiero e laido del signore mentre riavvolge nella pelliccia la giovane che lo accompagna.
Lo spettacolo, in questo caso è proprio l’Italia. L’Italia che possiede il fascino di attirare turisti per le sue bellezze e lo spettacolo delle vie o delle piazze.
Il ponte della Paglia collega il molo di S. Marco alla Riva degli Schiavoni, correndo parallelo al ponte dei sospiri, fu costruito nel 1100.
Il suo nome deriva dalla Stazione di sosta in quel luogo per permettere carico e scarico delle barche cariche di paglia e fieno, a fini edilizi, arredi -pagliericci-o per il nutrimento di animali.
Se le acqueforti veneziane di Whistler si focalizzavano sulla pittoresca decadenza della città lagunare e le opere di Sargent si concentravano su monumenti e interni, Prendergast, cronista americano di una Venezia moderna, si sente invece attratto dall’attualità della Serenissima, dai suoi ricchi visitatori con abiti alla moda, dalle processioni, da quelle feste che erano in parte l’espressione della tradizione storica e in parte la risposta al turismo internazionale, il tutto rappresentato attraverso pittoresche vedute impressioniste, popolate da colorate folle di pedoni che si muovono tra calli, ponti e campi. (cit. COMUNICATO STAMPA da Collezione Guggenhaim- Palazzo Venier, Venezia)
Eppure questo modo di dipingere, in modo magico e fiabesco mi ricorda Kandinskij.
Nelle sue opere di scene russe, infatti, utilizza un linguaggio grafico quasi infantile, dove prevale il colore innaturale e la forma deve ricostruirla l’osservatore dell’opera d’arte.