Paura e violenza
La gestualità e le espressioni nella rappresentazione artistica della strage degli innocenti
Inconfondibile il linguaggio artistico di Giotto: nell’impostazione sulle diagonali dove al centro si sviluppa il tema, nella sintesi delle figure che, pur richiamando un affollamento, si distinguono fra dolore e violenza, nello stemperare la drammaticità in un sentimento collettivo di orrore.
Le figure così grandi rispetto all’ambiente rimandano all’estetica ancora bizantina ma alcuni storici dell’arte vedono la sottolineatura etica di Giotto sul concetto medioevale dell’uomo creatura eletta da Dio.
La brutalità gestuale dello sgherro che sta strappando il bimbo alla madre viene nascosta da un altro uomo con la spada sguainata pronta a colpire, mentre Erode con il dito puntato incita gli infanticidi.
L’impianto compositivo è simile a quello di Giotto ma la scena appare più affollata per aumentare il senso di claustrofobia. Erode è ancora rappresentato sul balcone mentre sottolinea l’ordine perentorio sporgendosi indicando verso il basso.
Decisamente più realistica e concitata la rappresentazione plastica del Sacro Monte di Varallo. Gli scultori delle statue in terracotta non hanno certamente edulcorato il terrore e il dolore.
Mentre la scena prende vita, al centro sta un Erode impettito, seduto sul trono sotto un aulico baldacchino, senza alcuna espressione.
Le donne tentano di salvare i bambini dagli uomini ubriachi di violenza.
La stessa posa del carnefice è stata riproposta dal pittore Gandolfi nella rappresentazione del primo omicidio del mondo. Un braccio per tenere fermi il polso e uno che brandisce l’arma mentre Abele ci sta suggerendo la stessa innocenza del bimbo.
Non mancano altri esempi del primo omicidio. Ad esempio Tintoretto avvita i due corpi come una girandola offerendo allo spettatore un certo dinamismo.
I soldati della miniatura medioevale sono i soggetti di questo racconto. Pur nella fiabesca interpretazione, riescono ad esprimere tutto l’orrore della violenza attraverso i corpi martoriati dei neonati ai loro piedi . Un soldato solleva un bimbo per la caviglia, mentre l’altro mostra con indifferente freddezza il piccolo capo grondante di sangue.
La brutalità che si evince nella Cappella di Varallo non rimane confinata nei tremendi omicidi si riverbera sulle madri che cercano invano di difendere i loro figli.
Avete anche voi notato che i soldati non partecipano alla strage e sono solo spettatori?
Precedente alla Cappella di Varallo, il dipinto di Matteo di Giovanni inserisce il dramma in un ambiente chiuso e situa Erode alla destra dello spazio pittorico, chiudendo il racconto. Erode ha proporzioni maggiori rispetto alle altre figure come a sottolineare l’incombenza della malvagità sulla carneficina dell’innocenza. E’ abbigliato con eleganza e porta una strana corona puntuta. Il trono non presenta un baldacchino ma, in alto, si curva in scanalatura che ricorda, solo vagamente, una conchiglia rovesciata.
Oltre all’inferriata del mezzanino si accalcano personaggi che assistono all’episodio.
Come in Giotto il vero orrore risiede nei corpicini esanimi dei piccoli che appaiono quasi fuoriuscire dai limiti del dipinto.
Reni sintetizza il dramma solo con poche madri e due aguzzini. Tuttavia alcuni gesti sono comuni agli allestimenti artistici precedenti. Come la madre che viene fermata nella sua fuga con i capelli tirati da un aguzzino, già ravvisata nella Cappella di Varallo. Trattandosi di un evidente gesto di aggressività la sua rappresentazione è molto antica, pensiamo a Sansone la cui forza risedeva proprio nei capelli.
Il torcersi le mani della madre in primo piano è ancora un gesto iconografico che esprime l’intenso e quasi insopportabile dolore.
Particolari le due bocche atteggiate alle urla che ricordano la disperazione del Laocoonte
e la testa della Medusa di Caravaggio.
Ma ancor prima di Caravaggio la visione pietrificata di un urlo — come disse D’Annunzio- è quella del gruppo plastico di Niccolò dell’Arca.
L’impatto emotivo è notevole e sicuramente esprime il dolore anche attraverso le mani che vogliono quasi respingere la visione del Cristo deposto dalla Croce.
Nel gruppo plastico della Chiesa di San Pietro a Melegnano il Compianto riprende la composizione di Niccolò dell’Arca. Non mancano, dunque, bocche con le urla congelate, seppur maggiormente contenute come nella descrizione di Maria di Cleofa e
in San Giovanni. (1)
Bocche che urlano come quelle riprese poi da Munch
e da Bacon nell’arte moderna e contemporanea.
che esprimono tutto il dolore dell’esistenza.
Ancora più sintetico è il dipinto di Poussin. L’artista trascura l’ambientazione interna del palazzo e non cita Erode, l’impatto visivo, tuttavia non tralascia di suscitare l’orrore. Non mancano, inoltre, le gestualità iconografiche della violenza delle rappresentazioni precedenti: la bocche urlanti, il piede che preme con forza sul corpo innocente, l’afferrare i capelli.
Curioso come Erode viene rappresentata a sinistra dell’arco del portale di ingresso della piccola Chiesa di Vizzolo Predabissi.
L’archivolto strombato presenta tre tipi di decorazioni. Le prime due sono decorative: la più interna a girali con motivi vegetali, la seconda con intrecci a canestro. La parte più esterna presenta scene della vita di Cristo.
Tuttavia, singolare è l’impianto che, a destra descrive i vari episodi ambientati sotto ad un arco a tutto sesto mentre a sinistra l’impianto è architravato. La seconda nicchia quadrata a sinistra, infatti, sembra rappresentare la strage degli innocenti che si contrappone alla Visitazione della Vergine a Santa Elisabetta. Molto probabilmente l’intento simbolico era quello di contrapporre iconograficamente il Bene e il Divino dall’Umanità vinta dal Male.
Secondo il Vangelo di Matteo Erode morì dopo mesi di tremendi dolori dovuti alle ulcere interne ed esterne che gli facevano marcire le carni.
(1) Foto e articolo di Claudio Cirillo Bertolesi